martedì 27 aprile 2010

Infortunio e famiglia

L’infortunio è la peggior cosa dopo il ritiro che può capitare ad un’atleta agonista, brucia più della sconfitta, da quest’ultima si impara e si torna più forti, dagli infortuni purtroppo no, ogni trauma, ogni lesione, ogni frattura indebolisce spirito e corpo, ti fa perdere occasioni e ti allontana dalla pratica, ti abbatte il morale e ti deprime.
Personalmente sin dall’età di 14 anni ho dovuto convivere ciclicamente con le solite magagne cui la stragrande maggioranza degli atleti agonisti deve fare i conti. Fa parte del mestiere e non bisogna piangersi addosso.
Col tempo ho imparato a preservarmi maggiormente, aumentare lo stretching, stare attento all’alimentazione al riscaldamento, però non ne sono mai stato completamente esente ahimè (troppe fibre bianche mi dicono), ogni anno qualche acciacco più o meno grave ha sempre bussato alla porta allontanandomi dalle competizioni e dagli allenamenti. Invero il più delle volte il vero nemico è la fretta, la voglia di rientrare di bruciare le tappe (come questa volta).
Eccomi qui a scrivere, forse solo per esorcizzare quest’ombra dopo l’ennesimo strappo … allo sport ed alle arti marziali ho regalato tre operazioni, deviazioni del setto nasale, orecchie siringate, coste incrinate, lesioni ad ogni articolazione, occhi tumefatti, labbra, unghie spaccate, algie in ogni dove ed ogni tipo di stiramento……e per che cosa?: per la gloria (per soldi di certo no), per provare qualcosa a se stessi, per fare il bullo in giro, per millantare, per raccontare esperienze, per orgoglio, per il rispetto…
La ragione (almeno nel mio caso) è la passione, la ragione è la propria natura, la ragione è quell’irrefrenabile spinta interna che uno ha di competere ed andare oltre ai propri limiti. Combattere contro la pigrizia e l’apatia.
Adesso da infortunato, mi guardo indietro (come sempre), rivedo il me stesso ventenne con voglia di sbattersi al minimo e penso alle occasioni perse, al talento sprecato, ai cattivi consiglieri ed ai pessimi esempi.
Provo grande rimorso per il tempo buttato via e considero la pigrizia adolescenziale come un infortunio, compito di un istruttore è trasmettere la propria passione, non la voglia di competere quella trova terreno fertile solo in chi ha il fuoco dell’agonismo dentro, chi vive la pratica come ricerca deve trovare gli stimoli nella voglia di migliorarsi e nella continua ricerca che il brazilian Jiu jitsu ti offre (non si finisce mai di imparare, si evolve e si matura), nel far parte di un gruppo e crescere all’interno dello stesso (in armonia si, ma in totale libertà).
A volte si chiude una porta e si apre un portone dicono… questo non lo so, il tempo a prepararsi andato in fumo, le diete, gli incontri di avvicinamento ad un grande appuntamento, le aspettative, tutto a puttane, tutto fa parte del ciclo di esperienze dell’atleta si dice. Forse è vero ed anche di questo ne farò tesoro.
Qualcuno mi ha detto ironicamente che muscoril e voltaren sono il pane dell’atleta anziano (questa frase ha un fondo di verità). Anti infiammatori, miorilassanti e massaggi (assieme all’amico ghiaccio) sono la terapia, io credo che il nostro pane sia il sacrificio e la voglia di non mollare, di tornare a dare battaglia di restare il più possibile sulla materassina quale luogo dove esprimere se stessi e la propria natura.
Questa lontananza forzata dagli allenamenti mi ha dato però l’opportunità di riflettere ed osservare dall’esterno il nostro piccolo arcigno gruppo, mi sono compiaciuto nel vedere giovani e meno giovani dedicarsi all’arte con tanta abnegazione, osservarne i progressi giorno dopo giorno, vedere che il legame tra loro prescinde dal semplice allenamento.
Alle volte è sufficiente fermarsi per godersi quello che si ha. Osservando loro vedo che il tempo “perso” per gli infortuni non è poi così “perso”, infine stare lontano dalla materassina non vuol dire stare lontano dal gruppo, vedere l’interessamento di chi è distante (come lo sceriffo) e chiede informazioni sulle gare e sui progressi dei ragazzi ha un valore enorme per me e le parole fratello e famiglia che spesso vengono utilizzate in maniera impropria nelle arti marziali, assumono un nuovo valore.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Lo sceriffo non vi mollerà mai...è un "vecchio" sceriffo di contea ma la sa lunga e ancor prima di vedersi menzionato, in fondo all'articolo del suo fratellino, aveva già in mente di lasciar traccia del suo seguire gli Spartans(i suoi), seppur a distanza!
Purtroppo non ho il tempo fisico per allenarmi, in compenso ho un gran fisico!(73,7 kg.)e anche se non tirato mi concederei grandi e divertimenti performance!ahahahahah....brother so che terrai duro sei uno Spartano dentro e fuori!So anche che ti manco, almeno quanto tu manchi a me...tanto!Pratico MMA nella vita, tutti i giorni, l'unica cosa che manca è un quadrato certamente non la quadratura...dei cerchi!Forse su un ring vero le cose sono più semplici e dirette!Non fosse altro per la ragione che hai scelto di salirci!
Una "delicata" strizzatina a tutti...quasi Atenese!.
Tom "The Sheriff".

spartamma ha detto...

Lo so fratello
Non vedo l'ora di incontrarti anche sulla materassina
la tua stella brillerà sempre sceriffo

Giulio Candiloro ha detto...

Andrea veramente un bell'articolo.
Purtroppo gli infortuni sono la cosa peggiore che può capitare e capitano...
Condivido in pieno il tuo pensiero e anche la vena pessimistica, purtroppo il tempo passato non ce lo restituisce nessuno... il nostro compito è di prendere a calci in culo i nostri "giovani e pigri" compagni di allenamento per fargli capire che le lancette dell'orologio non tornano in dietro...
Un salutone da Salerno!

spartamma ha detto...

Ti ringrazio giuglio
hai perfettamente afferrato il concetto. Il tempo perso non ce lo restituisce nessuno, ma che almeno i ragazzi non commettano l'errore di rimanere fermi ai blocchi. Sto lavorando su quello e sul gruppo.
Spero che il mio team diventi un esempio di serietà ed agonismo, come lo è il tuo.
Un grande abbraccio
Andrea